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Eseguiti prelievi di polmoni, fegato, reni e tessuti “a cuore fermo” da due donatori deceduti. I prelievi sono stati eseguiti a 10 giorni di distanza l’uno dall’altro. È la prima volta in Italia che da donatore morto per arresto cardiaco si riescono a prelevare i suddetti organi interni.

Bergamo, 10 novembre 2017

Sono stati eseguiti all’Ospedale di Bergamo i primi due prelievi di polmoni, reni, fegato e tessuti dopo arresto cardiaco, da donatori a cuore fermo per la prima volta in Italia. I prelievi sono stati eseguiti a distanza di 10 giorni l’uno dall’altro.

I donatori sono stati due uomini, uno di 47 e uno di 59 anni, entrambi ricoverati nella Terapia intensiva neurochirurgica dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo con lesioni gravissime al cervello, seppur non tali da portare alla morte celebrale, come invece di solito accade. Il quadro clinico dei pazienti è andato però progressivamente peggiorando, fino all’arresto cardiaco.

I prelievi sono iniziati dopo i venti minuti di elettrocardiogramma “piatto” previsti dalla legge italiana per accertare la morte avvenuta per arresto cardiaco, dopo di che è cominciata la perfusione per la conservazione degli organi con ricorso all’ECMO, macchina che sostituisce le funzione dei polmoni e del cuore per cui il Papa Giovanni XXIII è tra i centri di riferimento in Italia.

La procedura, chiamata tecnicamente DCD (Donation after Circulatory Death), è stata guidata da Mariangelo Cossolini, coordinatore al Prelievo e trapianto d’organo del nosocomio in parola, in collaborazione con gli operatori della Terapia intensiva neurochirurgia, guidata da Francesco Ferri, e l’ECMO team diretto da Luca Lorini.

Per i prelievi degli organi e delle cornee si sono alternate diverse équipe chirurgiche, sia dell’Ospedale di Bergamo che di altri ospedali lombardi. Gli altri tessuti sono stati invece prelevati dalle équipe delle banche regionali dei tessuti della Lombardia.

«Tecnicamente si è trattato di DCD “controllati”, in quanto l’arresto cardiaco era l’esito prevedibile e si è verificato in ospedale – ha spiegato Mariangelo Cossolini (nella foto) –. I DCD controllati sono più rari, ma anche più semplici da gestire, soprattutto per noi che applicavamo questa tecnica per la prima volta. E’ un risultato fortemente voluto dal Papa Giovanni XXIII – ha proseguito Cossolini – che ha lavorato tanto per raggiungere questo obiettivo, in adesione ad un programma nazionale strategico del CNT – Centro Nazionale Trapianti, condiviso da Regione Lombardia. Possiamo dire che la donazione a cuore fermo – ha concluso il dirigente medico – rappresenta ora anche nel nostro Paese una concreta speranza di poter ridurre sensibilmente il triste bilancio di circa 400 pazienti che ogni anno perdono la vita nell’attesa vana di un organo».

La donazione a cuore fermo è una tecnica ancora poco utilizzata in Italia: solo 14 organi sono stati effettivamente trapiantati con questa modalità di donazione lo scorso anno e quella di Bergamo è la prima donazione che riesce a superare le difficoltà che finora avevano impedito di prelevare sia i polmoni che fegato e reni, rendendo necessario scegliere fra le due alternative.

La donazione da donatore a cuore fermo è praticata già da tempo in molti Paesi del nord Europa ed è costantemente in crescita: solo nel 2014 erano stati effettuati circa 2 mila trapianti con questa particolare tecnica in Europa.

«Questi sono risultati ottenuti grazie alle professionalità e alle competenze maturate nel corso della nostra esperienza pluridecennale nel campo della donazione – ha dichiarato Carlo Nicora, direttore generale dell’ASST Papa Giovanni (nella foto) – del trapianto e dell’assistenza intensiva, anche con ricorso a tecniche complesse come l’ECMO. Un grazie speciale va al Centro nazionale trapianti e alle famiglie dei donatori – aggiunge Nicora – che, capita l’estrema gravità delle condizioni cliniche dei loro cari, hanno espresso la volontà di non rendere vano quanto accaduto, ma di trasformare un destino beffardo in una opportunità per altri malati, in attesa di un organo per continuare a vivere».

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