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125 dei 243 Comuni bergamaschi hanno una popolazione superiore ai 3000 abitanti, e rientrano nell’obbligo di rispetto delle quote di genere.

Di questi ben il 68,80% rispettano le quote di genere, contro la percentuale del 24,80 che non le rispetta.

Bergamo, 7 marzo 2019 –La parità di genere è tra i 7 obiettivi delle Nazioni Unite inseriti nel Programma dello Sviluppo Sostenibile, 2030 Agenda for Sustainable Development. Secondo il Global Gender Gap Report 2018 del World Economic Forum, sui 147 paesi che ne fanno parte, l’Italia è al 70° posto preceduta da Honduras e Montenegro e, a sua volta, precede Tanzania e Capo Verde; è poi quart’ultima in Europa Occidentale, con una performance superiore solo a quella di Grecia, Malta e Cipro ed è ultima se si considerano i big del mondo industrializzato.

Il bel Paese si colloca dunque al 118° posto nel campo della partecipazione economia e delle opportunità professionali , penalizzata in particolare per la bassa presenza delle donne nel mercato del lavoro soprattutto nelle posizioni apicali, la accentuate differenze salariali e la difficoltà di conciliare vita e lavoro. Essa si colloca invece al 38° posto per le opportunità nel potere politico, grazie al numero di donne in Parlamento e in posizioni ministeriali.

Il contesto provinciale orobico non si distanzia molto da questo scenario.

Il tasso di occupazione femminile bergamasco (Istat 2017) è 54,2% contro il 59,3% della Lombardia e il 48,9 a livello nazionale. Preoccupante è il dato di 1.435 lavoratrici madri che nel 2018 hanno presentato le dimissioni presso l’Ispettorato e l’aumento del part-time femminile di ben 12 mila unità dal 2008 ad oggi .

«Nel 2018, al mio ufficio si sono rivolte principalmente donne con difficoltà di conciliazione vita-lavoro, circa il 70% – spiega la consigliera di Parità Isabel Perletti (nella foto) – . I motivi di ricorso più frequenti sono stati la mancata concessione del part-time o la modulazione di orari più flessibili per accudire figli e parenti anziani. Segno che in un contesto provinciale come il nostro molte aziende, specie quelle piccole, non favoriscono la madre-lavoratrice. E’ necessario, oggi più che mai – prosegue Perletti – fare proprio di ciascuno di noi questo assunto: al fine di non inibire maggiormente la già bassa natalità è opportuno favorire la permanenza delle donne nel mercato del lavoro fornendo servizi di cura non limitate alla nascita. La partecipazione delle donne al mercato del lavoro non solo consentirebbe un aumento del PIL, ma innescherebbe un circolo virtuoso: più occupazione, più reddito famigliare, richiesta di maggiori servizi di cura, maggiore occupazione femminile, più reddito e aumento della natalità».

La consigliera Perletti ha recentemente assegnato una borsa di studio di 3mila euro a una giovane laureata, Maria Beatrice Pagani, tramite il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Bergamo, per una ricerca dal titolo “Misurare le discriminazioni per combatterle: il caso della provincia di Bergamo”.

L’attività di ricerca oggetto della borsa di studio, che è stata assegnata tramite selezione pubblica, consisterà in:

1.mappare l’occupazione femminile bergamasca individuando quelle azioni/strumenti già esistenti destinati a favorire l’occupazione femminile e la conciliazione vita lavoro nella provincia di Bergamo;

2. individuare eventuali buone prassi ispirandosi alle esperienze già avviate, anche internazionali per contrastare le discriminazioni che contraddistinguono il lavoro femminile anche alla luce delle nuove previsioni normative (legge di bilancio);

3. realizzare un vademecum che pubblicizzi nuove modalità di impatto contro le discriminazioni di genere.

In tema di valorizzazione delle donne nella politica l’ufficio della Consigliera lo scorso anno ha commissionato un censimento delle giunte comunali nei 243 Comuni bergamaschi al fine di verificare il rispetto delle quote di genere. L’art. 1, comma 137, della l. n 56 del 2014 (“Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni”) prevede infatti che “nelle giunte dei comuni con popolazione superiore a 3.000 abitanti, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura inferiore al 40 per cento, con arrotondamento aritmetico”.

Dei 243 Comuni bergamaschi 125 di essi hanno una popolazione superiore ai 3000 abitanti e rientrano nell’obbligo sopraccitato. Di questi ben il 68,80% rispettano le quote di genere, contro la percentuale del 24,80 che non le rispetta. Differente situazione è quella riguardante i Comuni sotto i 3000 abitanti dove solo il 12,71% dei Comuni presenta situazioni di rispetto delle quote.

Oltre alle quote di genere nelle giunte i Comuni bergamaschi hanno altri due obblighi da assolvere: il Piano delle azioni positive e il Comitato unico di garanzia. L’elaborazione e la conseguente adozione del PAP, Piano della Azioni Positive, è stata fatta dal 64% dei 243 Comuni. Pena della non adozione l’impossibilità per quei Comuni di procedere nell’assunzione di personale. In tema di Comitato Unico di Garanzia solo il 35 % dei Comuni lo ha costituito.

«Desidero porgere un augurio in occasione dell’8 marzo Giornata internazionale della donna, di tutte le donne di ogni estrazione sociale, condizione economica, orientamento politico, madri, mogli e figlie” conclude la consigliera di Parità».

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