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Ancora oggi la mancanza di consapevolezza e conoscenza nei confronti dell’infezione da HIV (Human Immunodeficiency Virus) e della sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS) costituisce un limite al controllo dell’epidemia. Una recente indagine – Is HIV sorted – ha riportato che quasi la metà (43%) degli intervistati residenti in Italia ignorano che l’HIV sia un virus e solo il 37% è in grado di definire in modo corretto la sindrome da immunodeficienza acquisita, mentre circa un quarto dei cittadini (27%) ritiene che HIV e AIDS siano sinonimi.

Bergamo, 18 marzo 2019 Il sindaco di Bergamo Giorgio Gori e il vicepresidente IAPAC, Bertrand Audoin hanno firmato questa mattina il protocollo “Fast Track Cities”, un network di città che si pone l’obiettivo di contrastare l‘AIDS, riducendo lo stigma e le discriminazioni nei confronti di chi ha contratto il virus.

Il fenomeno dell’infezione diviene ancora più preoccupante se si considera che l’87% dei soggetti adulti non si ritiene a rischio di contagio e che il 60% non ha mai eseguito un test HIV, mentre il 40% di coloro che l’hanno eseguito almeno una volta l’hanno fatto più di 5 anni prima.

La mancata percezione del rischio e delle misure di prevenzione, si associa ad un approccio sociale negativo nei confronti delle persone con infezione da HIV. Basti pensare che il 58% degli intervistati dice che sarebbe a disagio nel lavorare a fianco di una persona. Un’indagine europea sulla consapevolezza e la percezione nei confronti dell’HIV commissionata dall’International Association of Providers of AIDS Care (IAPAC), Fast-Track Cities e Gilead Sciences, ha dimostrato che lo stigma è ancora molto forte anche in Italia dove nove persone su dieci (87%) non credono di essere a rischio di contrarre l’HIV sieropositiva e che esiste la possibilità di contagiarsi con un bacio, a causa di uno starnuto o condividendo del cibo.

L’attitudine sociale negativa nei confronti delle persone sieropositive pone serie barriere all’ottenimento dell’obiettivo 90-90-90 dell’UNAIDS entro il 2020, in quanto lo stigma disincentiva il ricorso al test e può frenare le persone sieropositive dall’accedere precocemente alle cure fondamentali che oltre a ridurre la mortalità legata all’AIDS e favorire una aspettativa di vita pressoché normale è uno degli strumenti fondamentali per prevenire la trasmissione di HIV.

Una terapia antiretrovirale efficace che porta a livelli di virus nel sangue non misurabili (soppressione virale) per almeno sei mesi consecutivi vuol dire che il virus non è trasmissibile dalla persona sieropositiva ad un partner sessuale sieronegativo, le premesse per il messaggio U=U (Undetectable = Untrasmittable; Non misurabile = Non trasmissibile), fatto noto, per riprendere il sondaggio precedente, solo ad un misero 16% degli intervistati.

«Un’indagine europea sulla consapevolezza e la percezione nei confronti dell’HIV – afferma Giorgio Gori, sindaco di Bergamo – ha dimostrato che lo stigma è ancora molto forte anche in Italia dove nove persone su dieci (87%) non credono di essere a rischio di contrarre l’HIV. È giunto il momento di alzare l’asticella della lotta all’AIDS, coalizzare l’amministrazione cittadina, le molteplici eccellenze associative operanti in città, le forze sociali e le istituzioni sanitarie per favorire una corretta informazione, il superamento dei pregiudizi, e giungere ad una azione sinergica che è alla base di una lotta serrata all’HIV, alle co-infezioni ed allo stigma a loro collegato” Il 58% delle persone intervistate non intendono lavorare accanto a un malato in cura con AIDS, quindi l’approccio con i malati è negativo. L’obiettivo del progetto – prosegue Gori – comprende anche i malati affetti da epatite C e TBC. Il 90% delle persone curate ottiene la repressione del virus dell’epatite e guarisce. C’è però ancora da fare un lavoro accurato di prevenzione nella popolazione».

Situazione a Bergamo e provincia

Con una prevalenza di circa 300 persone infette per 100.000 abitanti la città e la provincia di Bergamo presentano una situazione epidemiologica in linea con le altre grandi realtà metropolitane Lombarde ed Italiane.

«Sebbene negli ultimi 2 anni si sia registrato un lieve calo delle nuove diagnosi – spiega Franco Maggiolo, infettivologo presso la ASST Papa Giovanni XXIII – il tempo che intercorre tra l’infezione e la diagnosi si mantiene costante e sfiora mediamente i 5 anni. Questo fenomeno favorisce il perdurare dell’epidemia e dimostra, ancora una volta, che la percezione del rischio tra la popolazione è bassa».

Bergamo, sottoscrivendo la Dichiarazione di Parigi, riconosce che è giunto il momento di far fare alla lotta all’AIDS un salto di qualità che permetta il controllo dell’epidemia entro il 2030 e riduca drasticamente lo stigma che ancora esiste nei confronti delle persone sieropositive.

«Nel corso della mia carriera di medico – sostiene Carlo Alberto Tersalvi, direttore dell’ATS Bergamo – e visto gente morire di questa malattia, in quanto non esisteva ancora la cura. L’impegno della medicina per sconfiggere l’HIV ha contribuito a creare la coscienza a carattere mondiale per incentivare la ricerca. L’informazione ha contribuito poi a far conoscere meglio la malattia, ma a tutt’oggi c’e’ ancora poca consapevolezza sugli effetti della malattia stessa».

Con la sottoscrizione della dichiarazione Bergamo è la seconda città italiana (dopo Milano) ad accedere al network internazionale delle Fast-Track Cities.

Nelle città si concentra una larga proporzione dei soggetti con infezione da HIV. Pertanto, nei Paesi ad alto carico epidemico, un intervento selettivo nelle aeree urbane è in grado di influenzare l’andamento dell’epidemia a livello nazionale. Anche nei Paesi con minore prevalenza di infezione da HIV, le città sono sede di residenza di un largo numero di persone che appartengono a popolazioni chiave a maggior rischio di acquisire l’infezione, ma che spesso ricevono una attenzione limitata all’interno dei programmi di prevenzione. Interventi efficaci a livello locale possono modificare anche in questo caso lo sviluppo dell’epidemia. Il Progetto Fast-Track Cities prevede l’istituzione di una rete di collaborazione globale tra più di 350 città con alta prevalenza di infezione da HIV, la IAPAC (International Association of Providers of AIDS Care) e l’UNAIDS (Joined United Nations Programme on HIV/AIDS), l’UN-Habitat (United Nations Human Settlements Programme e la città di Parigi. L’iniziativa è stata lanciata in occasione della Conferenza mondiale AIDS del 2014 e permette a comunità urbane di tutto il mondo, sottoscrivendo la dichiarazione di Parigi di entrare a far parte di un network internazionale virtuoso.

«Sono 250 le città del mondo che hanno aderito al progetto – sottolinea Bertrand Audoin – e la città di Bergamo si trova al 44° posto tra le città europee, nel ruolo della prevenzione al contagio del visus HIV. Bisogna dare inoltre voce alle città per una buona gestione della sanità pubblica per contrastare la malattia. Il programma di questa firma di protocollo segna il primo passo per il riconoscimento dell’impegno della città di Bergamo sul tema della prevenzione e cura dell’AIDS».

Per maggiori informazioni per favore visitare: http://www.fast-trackcities.org

Sondaggio HIV sorted?

Il sondaggio “Is HIV sorted?” è stato commissionato da IAPAC (International Association of Providers of AIDS Care), il partner tecnico centrale della iniziativa Fast-Track Cities e da Gilead Sciences. Il sondaggio è stato condotto su 24.212 adulti residenti in 9 Paesi dell’Europa occidentale ed in 6 dell’est Europa In Italia sono stati coinvolti 2035 persone di entrambi i sessi e di età compresa tra 18 e 75 anni. L’indagine aveva come scopo di valutare a livello di popolazione generale le conoscenze, la consapevolezza e la percezione soggettiva sulla tematica dell’infezione da HIV e dell’AIDS. L’indagine è stata condotta nel giugno 2018 dalla compagnia indipendente di ricerca di market Opinium.

«Bisogna pensare all’apertura di percorsi nuovi per veicolare bene l’informazione alla gente – sostiene Maria Carolina Marchesi, assessore alla Coesione Sociale del Comune -. La cura per la malattia in questione va rinnovata e dev’essere continua. Occorrono inoltre risorse e nuove strategie per contrastare l’infezione, specialmente nei giovani, e far capire loro che tale malattia si cura , ma non è stata ancora debellata».

International Association of Providers of AIDS Care (IAPAC)

La IAPAC è stata fondata più di trent’anni fa con la missione di migliorare l’accesso e la qualità della prevenzione, dell’assistenza, del trattamento e del e iniziative di supporto alle persone affetta da infezione da HIV e con altre patologie correlate quali l’epatite virale e la tubercolosi. Con più di 30.000 membri a livello globale, è la più ampia associazione di clinici e professionisti sanitari che cooperano con molteplici partner diversi per far sì che l’AIDS cessi di essere una criticità sanitaria ed epidemiologica entro il 2030.

«La cura e la ricerca hanno fatto sì che la malattia non diventasse contagiosa commenta Maria Beatrice Stasi, direttore generale dell’Asst Papa Giovanni XXIII -. Ma ciò ha anche contribuito ad abbassare la guardia nella gente sulla pericolosità del virus HIV. Bisogna oggigiorno incentivare sia la cura sia la prevenzione, tenendo conto anche delle altre vaccinazioni per le quali sembra essersi allontanato l’interesse di una parte di persone».

L’obiettivo UNAIDS 90-90-90

Il Joined United Nations Programme on HIV/AIDS (UNAIDS) asserisce che ottenere l’obbiettivo 90-90-90 è un mezzo per permettere sia ai Sistemi Sanitari Nazionali che alle Istituzioni Comunali e Locali di intraprendere una strada virtuosa che faccia sì che l’AIDS cessi di essere una criticità sanitaria ed epidemiologica entro il 2030. L’obbiettivo prevede che entro il 2020 si ottenga che:

  • il 90% delle persone con infezione da HIV siano a conoscenza del loro stato (diagnosticati)
  • il 90% delle persone diagnosticate siano in terapia antiretrovirale
  • il 90% delle persone in terapia antiretrovirale raggiungano la soppressione della replicazione del virus (terapia efficace)

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