Grazie a un donatore con caratteristiche rarissime, un gruppo di ricercatori – coadiuvato da alcuni colleghi dell’ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo – ha individuato, per la prima volta in assoluto, la presenza sui neutrofili della molecola CD16A, finora trascurata, ma capace di influire sul successo della terapia.
L’eccezionale risultato, pubblicato su Blood, apre importanti scenari nelle ricerche sul sistema immunitario umano.
Bergamo, 13 giugno 2019 – Per creare cure su misura contro i linfomi, i ricercatori sono impegnati a capire perché la stessa terapia su un malato funziona bene, su un altro meno, su un terzo per nulla. Questione di geni, ma non solo: serve andare oltre, capire quali recettori sono “espressi” dalle cellule del nostro sistema immunitario, perché il successo delle cure dipende in gran parte da essi.
Josée Golay – una vita dedicata a indagare come funzionano gli anticorpi monoclonali usati attualmente come farmaci per la cura di linfomi e altri tipi di tumore – ha fornito per la prima volta alla comunità internazionale dei ricercatori un’informazione importante, grazie a una scoperta inaspettata.
«Durante gli studi arruoliamo volontari sani disposti a sottoporsi a un semplice prelievo di sangue – spiega Golay 1 – per studiare l’interazione degli anticorpi terapeutici con il nostro sistema immunitario. Uno di loro, come abbiamo scoperto successivamente, aveva una caratteristica molto rara: era un donatore “nullo”: non esprime cioè un particolare recettore del sistema immune, chiamato CD16B, normalmente espresso dai neutrofili, un importante tipo cellulare del sistema immune. Questi donatori sani sono rarissimi. In questo modo abbiamo capito che alcuni effetti degli anticorpi in vitro – prosegue – non erano dovuti al CD16B, ma a un altro recettore simile, il CD16A, che solitamente non viene preso in considerazione. Invece ora sappiamo che ha un effetto importante nella risposta del paziente a uno dei farmaci più utilizzati contro i linfomi».
La scoperta è stata pubblicata sulla prestigiosa rivista dell’American Society of Hematology, Blood, con un commento del Prof. Ronald Taylor dell’Università della Virginia, Stati Uniti. Il ruolo di questi recettori, infatti, apre nuovi scenari non solo in campo ematologico, ma in tutte le ricerche in cui il sistema immunitario gioca un ruolo fondamentale, ad esempio negli studi dedicati alle patologie autoimmuni dove i neutrofili hanno un’attività.
Alla scoperta in questione ha lavorato un gruppo tutto “bergamasco” che ha riunito ricercatori del Centro di Terapia Cellulare “Gilberto Lanzani” dell’ASST Papa Giovanni XXIII, dell’Associazione Italiana contro le Leucemie-linfomi e mieloma (AIL) – sezione Paolo Belli di Bergamo, che ha fondato e sostenuto il Centro di Terapia Cellulare fin dal 2003, e della FROM, Fondazione nata da una costola dell’ospedale di Bergamo e oggi importante centro di ricerca presieduto da Alberto Bombassei, patron di Brembo spa e del Kilometro Rosso.
Fra i colleghi che con Golay 1 hanno firmato il lavoro vi sono Martino Introna2, Rut Valgardsdottir3, Gerta Musaraj, Damiano Giupponi4 e Orietta Spinelli4.
La ricerca ha goduto del supporto di AIRC, Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro.