Il CONI non ha mai riconosciuto la vincita perché ha sempre sostenuto che la matrice della schedina vincente non è mai pervenuta nell’archivio corazzato del Comitato stesso.
Bergamo, 26 giugno 2019 – Questa è l’odissea giudiziaria vissuta da Martino Scialpi, piccolo commerciante di abbigliamento pugliese durata 38 anni, parte dei quali vissuta tra i tribunali di Bari, Taranto e Roma, dopo aver totalizzando un 13 da 82 milioni di vecchie lire, con una schedina del Totocalcio, non riconosciuta dal Coni, perché – come hanno sempre affermato i suoi funzionari – la matrice della stessa non e’ mai arrivata nel deposito blindato del Totocalcio.
Tutto iniziò il 1° novembre del 1981, quando Scialpi compilò e giocò, in una ricevitoria del Comune di Ginosa (BA), una schedina pagando 500 delle vecchie lire.
La vincita al Totocalcio
Il 24 settembre 2014, a seguito dell’intervista di Casciari delle “Iene”, che gli chiese notizie sulle vicissitudini sia burocratiche che giudiziarie cui andò incontro totalizzando quel 13, Scialpi rispose:
«Ascoltando i risultati delle partite di calcio alla radio della mia macchina, insieme a un amico mi accorsi, tutto a un tratto, che avvenne un miracolo: avevo totalizzato un 13. Tornato a casa di corsa abbracciai, ansimante, mia moglie e i miei tre bambini dicendo loro che, da quel momento in poi, la nostra vita sarebbe cambiata in meglio. Prima di tutto avremmo comprato una casa tutta nostra, considerato che eravamo in affitto e dopo avremmo magari fatto un bel viaggio, tutti insieme, in una località di villeggiatura».
82 milioni di vecchie lire che avrebbero cambiato senz’altro la vita di un’intera famiglia
«Insomma, per circa mezz’ora esultammo dalla gioia non stando nella pelle – continuò il commerciante – ma l’indomani ascoltando il telegiornale i nostri entusiasmi furono smorzati dalla notizia secondo cui erano stati totalizzati quattro 13 in Italia, ma non in Puglia».
A quel punto, Scialpi andò a chiedere spiegazioni al direttore del Totocalcio di Bari, il quale gli consigliò di inoltrare immediatamente ricorso avverso il CONI di Roma, promettendo che gli avrebbe fatto sapere l’esito.
Dopo circa un mese arrivò la risposta da Roma, con nota del 1 novembre 1981, con la quale si rigettava il ricorso. Motivo: secondo l’ art. 14 del regolamento ufficiale del Totocalcio la “Matrice non era stata rinvenuta nell’archivio corazzato” . Quindi il tagliando della matrice non totalizzava.
Anni fa, il pronostico delle partite sulla schedina del Totocalcio veniva compilato per tre volte nelle parti denominate: “Figlia”, “Spoglio” e “Matrice”. Il ricevitore timbrava la schedina giocata, incollando anche una striscetta con un numero identificativo, lasciando come ricevuta al cliente la “Figlia” e teneva per sé la parte dello “Spoglio” e la “Matrice”, inviandola poi all’archivio corazzato del Totocalcio.
Da lì a poco, l’onesto padre di famiglia fu accusato ingiustamente di furto, falso e truffa ai danni dello Stato e del CONI. E ciò – molto probabilmente – fu il primo colpo terribile accusato dall’uomo che in seguito lo porterà all’infarto cardiaco.
Il commerciante, secondo il CONI, avrebbe compilato la schedina in data posteriore a quella del concorso.
Il 10 febbraio del 1987, Scialpi però venne assolto e fu accettata l’autenticità della schedina. Così il CONI avrebbe dovuto sborsare, immediatamente, i soldi della vincita, ma non lo fece, adducendo la seguente motivazione:
“….qualora per qualsiasi motivo, una matrice non fosse rinvenuta nell’archivio la partecipazione al concorso deve considerarsi a ogni effetto come non avvenuta. e il concorrente ha diritto solamente al rimborso della posta pagata dietro consegna del tagliando figlia in suo possesso esclusa – salvo casi di dolo o colpa grave – ogni responsabilità tanto dell’ente gestore e dei suoi ausiliari quanto dei ricevitori autorizzati…”
Dopo di che si innescarono decine e decine di processi, con costi esorbitanti sostenuti da Scialpi che si indebitò fino al collo e anche oltre.
Nel 2012 avvenne, però, qualcosa di nuovo: il tribunale capitolino emise una ingiunzione al CONI per il pagamento di 2.343.924,00 euro comprese le spese processuali. E non solo: la magistratura Bloccò su conto del Comitato Olimpico Italiano la somma di euro 3.907.236,00 a disposizione della giustizia.
E nonostante l’anzidetta ingiunzione e l’enorme spesa sostenuta da Scialpi (circa 500 mila euro), il CONI non si decise a pagare.
«Ho perso quasi 33 anni della mia vita passando da un tribunale all’altro tra Taranto, Bari e Roma – disse Scialpi a Casciari nel corso dell’intervista – senza ottenere nulla, ma io mi batterò fino all’ultimo per pensare al futuro dei miei figli e a sdebitarmi con gli amici che mi hanno sostenuto. Dopo di che – continuò – vorrei godermi quel breve periodo di vita che mi è rimasto da vivere».
Finalmente arrivò il giorno dell’udienza al tribunale di Roma la cui sentenza, secondo la precedente ingiunzione, avrebbe consentito allo sfortunato commerciante di ottenere quasi 4 milioni di euro, ma nel frattempo gli avvocati del CONI presentarono un’istanza di revoca al pagamento stabilendo un nulla di fatto. L’avvocato Boccia, difensore di Scialpi, esclamò:« il giudice ha rimandato l’udienza per leggere i faldoni contenenti l’istanza di revoca del CONI».
A quel punto, Scialpi fece un appello, durante la ripresa della trasmissione ”Le Iene”, al numero uno del Comitato Olimpico Italiano, Giovanni Malagò affinchè in quegli ultimi tre mesi si potesse chiudere la vicenda.
Il giorno dopo, Malagò fu raggiunto a Napoli da Casciari, insieme alla sua troupe televisiva di Mediaset, il quale, mostrando le la foto di Scialpi gli chiese:
«Conosce questa persona?» E Malagò rispose: «Non la conosco questa persona, ma so chi è!» «Martino Scialpi aspetta di incassare la vincita al Totocalcio dal 1 novembre 1981 – continuò Casciari – . Ha totalizzato un 13 vincendo 802 milioni di vecchie lire, ma a tutt’oggi non ha visto ancora un centesimo. Perchè questo signore non ottiene la vincita dopo 33 anni?» «Nessun giudice può confermare che lui quei soldi li deve avere», aggiunse Malagò. «Mi scusi – replicò Casciari – se la giustizia ha deciso nell’ultima sentenza di destinare 4 milioni di euro a questo signore, perché non si dà esecuzione a tale sentenza?» «Non è che io non voglia pagare, sono obbligato a farlo», concluse Malagò.
«Anche la magistratura sia civile che penale è stata raggirata attraverso un occultamento di prove mai fornito. Chiedo la riapertura di tutti i procedimenti civile e penali», disse Scialpi a “Il Quotidiano Italiano”, che lo intervistò.
Quando l’avvocato Boccia, tentò di riaprire la questione nel 2017, chiese i documenti al CONI, ma i suoi funzionari replicarono che erano andati persi.
Ecco l’ultimo appello lanciato da Scialpi ,in Tv: «Sono 33 anni che combatto da un tribunale all’altro per avere i soldi che mi spettano, ma ancora non ho visto niente. Forse aspettano che io muoia?».
E infatti, la notte dello scorso 7 giugno, il povero commerciante, oramai amareggiato, esausto nonché addolorato per questa oscura vicenda, veniva colto da un infarto fulminate e moriva tra le braccia della moglie.
L’avvocato bergamasco Antonella Scialpi, figlia di Martino, con studio in Calusco d’Adda,ha giurato di continuare la battaglia del padre, per ottenere giustizia e onorare così la sua memoria.
Ecco l’intervista a Martino Scialpi: