SHARE

Non sono pochi i cittadini bergamaschi del parere secondo cui l’uso dei tamponi per la diagnosi di infezione da covid-19 sia un privilegio dei personaggi delle istituzioni, senza che presentino sintomi, mentre alle gente comune viene detto di rimanere in casa.

Bergamo, 11 marzo 2020 – Il nostro Sistema Sanitario Nazionale – osannato quasi da tutto il mondo, vuoi per le modalità con cui sta affrontando la pandemia da Covid-19, vuoi per l’impegno del personale medico e infermieristico (per questo non c’è alcun dubbio), che lavora 24/24 ore – lascia trapelare però qualche zona d’ombra dal punto di vista organizzativo.

Nel caso specifico della Lombardia, si sono prese tante di quelle iniziative per i cittadini che poi, in concreto, non hanno sortito del tutto gli effetti sperati: numeri verdi, “azzurri, marrone, blu ecc.” per la segnalazione di casi di malessere derivanti da sindrome influenzale, bronchite, o ancora peggio, da polmonite con insufficienza respiratoria provocata dal coronavirus.Tali misure sono state prese per evitare che le persone sintomatiche si presentassero ai pronto soccorso con il rischio di contaminare le persone in attesa e il personale sanitario.

Chiamando il numero verde, dall’altra parte del ricevitore non risponde il medico bensì un operatore telefonico che dà consigli sulle iniziative da prendere, a seconda della sintomatologia che presenta la persona che chiama. E i medici di famiglia dove stanno? C’è chi risponde alla chiamata dicendo di attenersi ai consigli del numero verde, c’è invece chi non prende affatto il telefono, perché viene infastidito dalle tante chiamate? E’ il caso di una signora A.M. di 70 anni di Bergamo, e della figlia M.T. 35enne che hanno chiamato tante volte il medico di famiglia comunicandogli che avevano una brutte tosse, dalla mattina alla sera, ma non presentavano febbre alta. Anche chi non ha la laurea in Medicina e chirurgia, ma è fornito di una discreta cultura, potrebbe pensare che si tratti di una bronchite che necessita di un trattamento con antibiotici, considerato che la sindrome influenzale abbia potuto lasciare il posto all’infezione batterica, però è giusto consultare prima il medico curante. Avendo gli stessi sintomi della madre, ma un po’ più attenuati rispetto a quest’ultima, la figlia M. T. dichiara:

«Lo stesso giorno telefono al numero verde predisposto da Regione Lombardia per le emergenze Coronavirus, chiedendo informazioni e raccontando la mia vicenda. L’addetto telefonico mi fa molte domande, tra cui una in particolare: mi chiede se sono stata a contatto con persone provenienti dalla zona rossa del Lodigiano, io rispondo decisamente di no!
Poi va avanti  con altre domande: mi chiede se avevo disturbi di natura respiratoria, fame d’aria o febbre alta, io rispondo di no, che i disturbi di affanno derivavano dalla forte tosse, e qualche linea di febbre a 37° soltanto per un giorno. Alla fine delle domande mi ha dirottato verso la guardia medica locale», prosegue M.T., «e di riferire al mio medico curante o alla guardia medica che non ero comunque una persona a rischio! Non capisco però come questa persona ostentasse tanta sicurezza nelle sue affermazioni, poiché sono emersi dei casi di persone senza sintomi che comunque sono risultate positive. Quindi, io e mia madre ci troviamo chiuse in casa, in isolamento dal 24 febbraio, e sotto consiglio del medico non possiamo ricevere nessuno poiché mia madre rappresenta un soggetto a rischio, essendo over 65, mentre io avendo avuto sintomi influenzali, che perdurano ancora adesso, ho il dubbio se sia io che mia madre abbiamo contratto il coronavirus. Chi può dirlo? Nonostante siano passati 15 giorni nessuno mi ha consigliato di fare il tampone. Intanto leggendo il vostro giornale, ho appreso che sono parecchi i personaggi pubblici di Bergamo che hanno fatto il tampone senza presentare sintomi, tra cui il direttore generale del Papa Giovanni, il questore e prefetto. E’ forse una questione di blasone?» Conclude M.T.
Dopo una settimana, M.T., ha chiamato nuovamente il medico, insistendo di prescrivere un trattamento farmacologico, almeno per la madre sofferente, il quale, questa volta, le ha detto di venire in studio che le avrebbe prescritto l’antibiotico da somministrare alla madre, senza alcuna visita, né l’ausculto delle spalle, metodo essenziale per la diagnosi della bronchite.

Un altro paziente, sempre di Bergamo, ci ha comunicato che ha chiamato diverse volte il suo medico curante, ma questi non si è degnato neanche di rispondere al telefono. C’è da dire però che i medici curanti non sono stati provvisti di materiale sanitario sufficiente (tuta protettiva, mascherine, gel disinfettanti ecc.) per potere salvaguardarsi da eventuale contagio trasmesso loro dagli assistiti che si sottopongono a visita. Però rientrerebbe nel loro dovere deontologico (tutelare la vita, la salute fisica e psichica dell’assistito) dare una risposta, un consiglio considerato anche che lo stipendio medio che dà loro lo Stato si avvicina ai 5mila euro mensili.

La gente si lamenta poi che tutte le farmacie della città hanno esposto un cartello in cui si legge: “Mascherine esaurite”: «ho chiesto a una di queste farmacie, sita in prossimità della via S. Alessandro», spiega G.A., un uomo sulla sessantina, «se ci fosse stata la possibilità di poterle prenotare, e mi è stato detto di sì, che sarebbero arrivare all’indomani. Quindi ne ho prenotate 5 lasciando le mie generalità e il numero del mio cellulare, perché mi contattassero una volta arrivate. Li ho chiamati dopo due giorni, ma mi hanno detto che il materiale da me ordinato era stato dirottato negli ospedali della città. Non capisco il perché», continua G.A., «in qualsiasi posto vai si vedono persone con mascherine in viso, mentre le farmacie dicono di non averne. Io penso che quando arrivano nelle farmacie, queste le distribuiscano a parenti, amici e conoscenti, come avveniva con i generi di prima necessità nel periodo della guerra», aggiunge.

Infine c’è il caso del sindaco di Bergamo Giorgio Gori (in foto) che in un articolo apparso questa mattina su Twitter si legge che «Il dato dei pazienti in terapia intensiva può trarre in inganno», ha scritto Gori. «Sembra che la crescita stia rallentando, invece è solo perché non ci sono più posti di t.i.(se ne aggiungono pochi con grande fatica). I pazienti che non possono essere trattati sono lasciati morire». Questa affermazione del sindaco ha sollevato un vespaio di polemiche nell’ambito della sanità, al punto che un medico veneto, Salvo Di Grazia, replica dicendo «Ma mi scusi, lei sindaco di una città dice su Twitter che i pazienti “sono lasciati morire”? Ma si rende conto di quello che ha scritto?»

Gori replica: «È purtroppo ciò che sta accadendo, come emerge dalle testimonianze dei medici impegnati in prima linea negli ospedali.»

C’è da dire che Gori a Bergamo è molto conosciuto in tutti gli ambienti come persona seria e affidabile, e la maggior parte dei bergamaschi ha fiducia in lui e pensa che le cose che dice sono vere e non se le inventa.

LASCIA UN COMMENTO