La Direzione strategica dell’ASST Papa Giovanni fa propria la lettera aperta dei componenti dell’Unità di crisi, in risposta a quanto pubblicato dal New England Journal of Medicine Catalyst a firma dei tredici medici dell’ospedale di Bergamo.
Bergamo, 25 marzo 2020 – L’Unità di crisi dell’ospedale di Bergamo – costituita già il 21 Febbraio scorso per fronteggiare quella che si sarebbe poi rivelata una terribile pandemia e che raccoglie molti dei direttori di Dipartimento dell’ASST Papa Giovanni XXIII e dei direttori delle Unità maggiormente coinvolte, accademici e ricercatori di chiara fama, ha firmato una lettera in risposta a quanto pubblicato dai 13 medici dell’ospedale bergamasco sul New England Journal of Medicine Catalyst.
Nella nota si legge: «Costernati e profondamente addolorati, ci associamo alla loro presa di posizione. Abbiamo letto di un ospedale tenuto sotto scacco dal virus, ma vogliamo sottolineare che qualsiasi sistema o struttura sanitaria sarebbero messi a dura prova dalla straordinaria concentrazione di casi in così poco tempo.
Molte affermazioni non corrispondono ai fatti. Non è corretto affermare che l’assistenza alle madri e ai bambini sia stata interrotta: nel nostro ospedale dal 1° Marzo ad oggi sono nati 270 bambini, abbiamo eseguito più di un trapianto nonostante l’emergenza. Abbiamo, salvo un breve periodo, proseguito nell’attività di vaccinazioni, abbiamo assicurato ai malati ricoverati in ospedale le cure palliative necessarie quando tutti i nostri sforzi contro una malattia molto aggressiva si sono rivelati vani. Abbiamo curato, nonostante l’immaginabile carico di lavoro che si è protratto per un tempo che non avremmo pensato fosse umanamente possibile sostenere, il rapporto con i parenti dei malati. I medici e gli infermieri», prosegue la nota, «non sono stati lasciati soli: tutta l’ASST stanno combattendo con lo stesso impegno questa terribile battaglia, la direzione, i tecnici, gli informatici, gli amministrativi e persino i lavoratori delle ditte esterne che collaborano con noi.
Abbiamo letto affermazioni contraddittorie che indicano prima il territorio come la soluzione ideale e poi invocano la creazione di padiglioni e interi ospedali Covid-dedicati, come peraltro fatto nel nostro ospedale. Ci sembrano infondate le aspettative di poter gestire nelle loro case anziani soli che necessitano di supporto respiratorio. Non è possibile in questo momento aggrapparsi a quello che desidereremmo, ma solo rispondere a quanto sta accadendo con risposte concrete e percorribili.
Abbiamo dedicato interi reparti ed equipe medico infermieristiche ai pazienti covid in aree ben separate dai pazienti affetti da altre patologie», aggiunge la nota, «e il fatto che questa lettera fotografi una situazione che risale ormai a tre settimane fa – tanto che il numero di posti letto di terapia intensiva dedicati è di ben 40 unità inferiore al numero di posti attivi ad oggi, cioè 88 – non giustifica l’enorme distanza tra la situazione descritta e la realtà che tutto l’ospedale sta vivendo e affrontando con grande sacrificio e impegno ormai da più di un mese.
L’unica affermazione che ci sentiamo di condividere senza se e senza ma è che se questa catastrofe è potuta accadere in Lombardia, potrebbe accadere ovunque. Per questo attraverso i media e la comunità scientifica internazionale abbiamo in queste settimane lanciato l’allarme in tutti i paesi del mondo, che oggi purtroppo vediamo affrontare le nostre stesse difficoltà, se non peggiori,» conclude la nota firmata da:
Maria Beatrice Stasi, direttore generale; Fabio Pezzoli, direttore sanitario; Fabrizio Limonta, direttore sociosanitario e Monica Anna Fumagalli, direttore amministrativo.
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