Alcuni ricercatori dell’Istituto Sacco di Milano stanno effettuando degli esperimento sugli effetti del caldo e dei raggi solari sulla carica virale del Covid-19.
Milano, 16 luglio 2020 – I ricercatori hanno posizionato del liquido contenente una carica virale di Sars-Cov-2 sotto alcune lampade che emanavano raggi Uv di tipo C, ovvero quelli che non penetrano l’atmosfera.
Le fasi dell’esperimento: ecco gli effetti
“Abbiamo valutato una dose bassa di virus (quella che può esserci in una stanza dove è presente un positivo), una dose cento volte più alta (che si può trovare in un soggetto con forma grave di Covid-19) e una quantità mille volte più alta, impossibile da trovare in un essere umano o in una qualunque situazione reale. In tutti tre i casi la carica virale è stata inattivata in pochi secondi al 99,9% da una piccola quantità di raggi UvC” – spiega Mario Clerici, direttore scientifico della Fondazione Don Gnocchi che guida il gruppo di ricerca.“
“Lo stesso esperimento è stato poi ripetuto utilizzando i raggi UvA e UvB, quelli che arrivano sulla Terra, e i risultati sono stati molto simili. Partendo da questi dati – prosegue Clerici – ci siamo poi chiesti se ci fosse una correlazione tra irraggiamento solare ed epidemiologia di Covid-19.”
“Minore è la quantità di UvA e UvB, maggiore è il numero di infezioni. Questo potrebbe spiegarci perché in Italia, ora che è estate, abbiamo pochi casi e con pochi sintomi, mentre alcuni Paesi nell’altro emisfero, come quelli del Sud America, in cui è inverno, stanno affrontando il picco della pandemia“.
I bagnanti allora sarebbero immuni dal Covid-19?
“In spiaggia si può quindi stare tranquilli – assicura il direttore –: le goccioline che possono essere emesse da un eventuale soggetto positivo vengono colpite dai raggi solari e la carica virale è disattivata in pochi secondi.”
Cosa pensa del rischio di una seconda ondata in Italia?
“Credo che il rischio sia ridotto – aggiunge – perché il virus sarà indebolito. Il virus che vediamo oggi è lo stesso di febbraio e marzo, non ha subito mutazioni nel suo genoma, se non minime. Dunque è sempre ‘cattivo’. La differenza è che i raggi solari lo inattivano, rendendo molto più difficile la trasmissione da un soggetto all’altro e anche la replicazione all’interno di un organismo.” conclude Clerici.
Il sole potrebbe essere dunque un valido alleato nella lotta al Coronavirus.