Bergamo, 3 ottobre 2020 – Lettera aperta ad direttore artistico del Teatro Donizetti, Francesco Micheli, dal Movimento transfemminista “Non una di Meno”.
Egregio Francesco Micheli – Direttore artistico del festival Donizetti Opera,
finalmente dopo la quarantena e in un momento di crisi per i lavoratori e le lavoratrici dello spettacolo, il Donizetti riapre. Il teatro della nostra città, la città del grande compositore. Lei, direttore, con il Suo importante lavoro, ci ha fatto riscoprire la nostra identità donizettiana con orgoglio, attraverso il Donizetti Pride.
In questa riscoperta è stato fatto un ottimo lavoro su opere e personaggi, che anche oggi hanno molto da dire: come non pensare a Sylvia ne “L’Ange de Niside”, un personaggio impavido, coraggioso e moderno, come ogni donna che si batte per il proprio amore e la propria emancipazione. Ma in tutto questo c’è una nota stonata. Il 19 novembre, ad inaugurare il Festival Donizetti Opera 2020, è stato chiamato il cantante e direttore d’orchestra Placido Domingo: Associated Press l’autunno scorso ha pubblicato due reportage sugli abusi sessuali e le molestie commesse dal baritono nell’arco della sua lunga carriera; Placido Domingo è stato costretto a lasciare l’incarico di direttore generale del Los Angeles Opera, che ha giudicato le accuse credibili dopo un’ulteriore inchiesta del sindacato dei lavoratori e delle lavoratrici dello spettacolo.
Uno dopo l’altro, i cartelloni dei principali teatri americani ed europei hanno deciso di cancellare i suoi spettacoli. Come se non fosse successo nulla, invece, la sua attività oggi prosegue in Italia.
A breve arriverà anche a Bergamo, a una settimana dal 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza di genere. Forse le note stonate sono più di una.
Sappiamo che nessun tribunale ha indagato Placido Domingo, ma questo non modifica per noi la situazione: spostare la questione sociale e culturale della violenza di genere su un terreno solo giuridico maschera e spaccia per accettabile qualcosa che non dovrebbe esserlo. La giustizia si occupa dei casi particolari, guardare in faccia la complessità della situazione sta a noi e a chi ha il potere di fare delle scelte.
Chi racconta le violenze ha coraggio, come Sylvia, non solo perché rivive quell’esperienza, ma perché prende parola per chi non è riuscita a farlo, per timore, per paura o perché è stato troppo tardi. Non ci interessa entrare nella polemica sterile del distiguere tra arte e artista. Semplicemente ci chiediamo: basta scusarsi e poi ritrattare le scuse (come Domingo ha fatto) per cancellare anni di silenzio e violenze? Perché la realizzazione professionale di Domingo conta di più della parola di chi ha denunciato le violenze? Comprendere la complessità di questa situazione non è facile: le qualità artistiche di Domingo non sono in discussione; ci interessa piuttosto capire come si possa essere arrivati a questo punto.
Le voci di donne che hanno accusato Placido Domingo arrivano da lontano, ma non per questo le consideriamo distanti da noi, dalla nostra esperienza. Anzi provocatoriamente potremmo chiedere: avremmo avuto lo stesso ardire di invitarlo nella nostra città se coloro che hanno preso parola contro le violenze subite fossero nostre concittadine? Guardiamo il dito e non vediamo la luna: non conta da dove arrivino le denunce, dobbiamo guardare alle fondamenta della produzione artistica e culturale, come hanno fatto le donne di #Metoo con Harvey Weinstein.
Secondo noi non è importante il dove e quando si prende parola, è importante che lo si faccia e che chi lo fa venga sostenuta. E Lei, direttore, che pensa? Potremmo ragionare di questa complessità insieme. Non priviamoci della gioia di riaprire degnamente il nostro teatro dopo tanti mesi: si è sempre in tempo a rivedere la scelta di quale artista inauguri una stagione così importante, perché si possa dar voce alle storie senza note stonate.
Vediamoci e parliamone pubblicamente. Prendiamo parola insieme.
Non Una di Meno Bergamo.
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