La Polizia di Stato della Questura di Bergamo ha tratto in arresto un uomo resosi responsabile del reato di estorsione e di quello previsto e punito dall’articolo 612 ter del codice penale, ovvero “Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”, noto anche come “revenge porn”.
Bergamo, 5 febbraio 2020 – Qualche settimane fa, una giovane donna sposata, abitante in un centro dell’hinterland bergamasco, si rivolgeva alla Squadra Mobile della locale Questura narrando di aver conosciuto un coetaneo sul luogo di lavoro con il quale era nata una simpatia, sfociata poi in una relazione extraconiugale.
Allorquando la donna aveva deciso di interrompere la relazione, l’uomo le aveva inviato, tramite messaggi WhatsApp, dei video dal contenuto esplicitamente sessuale, nei quali la coppia era coinvolta in rapporti intimi.
I video erano stati registrati dall’uomo con l’inganno, all’insaputa della donna, che tuttavia, negli stessi, era chiaramente riconoscibile.
Richiesta di denaro sotto la minaccia di pubblicazione dei video porno sui social
Il malfattore minacciava la malcapitata, asserendo che, se non avesse consegnato 500 euro immediatamente ed altri 2.500 entro il mese di maggio, avrebbe diffuso su internet i video in questione e li avrebbe, ovviamente, inviati anche al marito della donna. Pertanto la persona offesa decideva di rivolgersi alla Squadra Mobile.
La Sezione “Reati contro la persona, in danno dei minori e reati sessuali” del predetto ufficio investigativo, che si occupa prevalentemente del cosiddetto “codice rosso”, che comprende appunto anche il “revenge porn”, dava vita ad un’immediata attività d’indagine.
Perquisizione e rinvenimento apparato video per le riprese
Dopo aver individuato l’uomo, a seguito di perquisizione, gli agenti rinvenivano il dispositivo sul quale erano stati salvati i filmati e con il quale erano state effettuate le videoriprese, appuravano altresì dove il medesimo dispositivo era stato collocato fraudolentemente per effettuare le riprese, all’insaputa della vittima, e lo sequestravano.
Le risultanze investigative venivano sottoposte alla competente Autorità giudiziaria, che emetteva idonea misura cautelare, in esito alla quale l’uomo veniva tratto in arresto.