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Sta prendendo corpo a Bergamo un progetto di  riqualificazione urbana nell’area dell’ex benzinaio di via Angelo Mai, attualmente dismessa e degradata, a pochi passi da Piazza Sant’Anna e dal centro.

 L’idea è partita dalla Fondazione Morzenti, proprietaria della suddetta area, la cui costituzione è stata voluta dalle sorelle Clelia e Monica Morzenti, allo scopo di promuovere un progetto il cui fine è rivolto a dare una casa a persone in situazione di fragilità sociale. Ciò è avvenuto il 20 luglio 2016 quando la società lmmobiliare A. Maj s.r.l., proprietaria di un terreno sito in centro a Bergamo, in via A. Maj,30, a poche centinaia di metri dalla stazione ferroviaria, si è trasformata in Fondazione.

Quest’ultima, opera in sinergia con il terzo settore del Comune (Confcooperative) e con i partner tecnici dello Studio Camerlenghi. Quella voluta dalla Fondazione è una vera e propria missione sociale rivolta, come detto, per coloro che versano in condizioni di fragilità sociale, contribuendo, attraverso la realizzazione e la gestione di strutture immobiliari, alla risposta del loro fabbisogno abitativo.

Tale progetto, innovativo sotto il profilo architettonico, tecnologico e sociale, ha preso il nome della via e del numero civico dell’ex benzinaio (via Maj, 30). Esso è stato elaborato dagli architetti Sergio Camerlenghi e Gabriele Pimpini e prevede la realizzazione di 23 appartamenti di varie metrature.

“Molto raramente accade che soggetti privati – commenta l’Assessore del Comune di Bergamo Francesco Valesini – riescono o mettere insieme temi di sostenibilità ambientale, innovazione tecnologica e innovazione sociale, in una collocazione cosi centrale della città, come nel caso del progetto di housing sociole che si andrà a realizzare in via Angelo Mai su iniziativa della neonata Fondazione Morzenti”.

l’intervento permetterà di completare un vuoto urbano restituendo continuità alla cortina architettonica delle facciate su via Angelo Mai. Le ridotte dimensioni del lotto e l’alta densità insediativa dei fabbricati circostanti non lasciano molta libertà alla disposizione planimetrica, costringendo gli architetti all’elaborazione di quest’utima disposta a “T” del nuovo intervento edilizio.

Costituzione dei fabbricati:

I fabbricati sul retro passando da cinque a tre piani fuori terra. Un solo piano interrato sarà destinato ad autorimessa, cantine e locali tecnici.

Dal punto divista tecnologico, t’intervento prevede la reatizzazione di un immobile in alta ctasse A, quindi ad efficienza energetica e ad etevata sostenibilità ambientate, garantita, oltre che dalle dotazioni impiantistiche e dall’utilizzo di materiati ecocompatibiti, anche dalla scelta di realizzare l’intervento, dal primo piano alla copertura, comptetamente a secco, con strutture portanti e divisorie in legno.

Gli appartamenti realizzati (con metrature che vanno dai 30 ai 68 mq calpestabili) verranno posti in locazione a canone agevolato. Sette di questi saranno destinati a persone in condizione di fragilità dovuta a disagio psichico, sviluppando una tappa di housing intermedia e aggiuntiva rispetto al tradizionale percorso di inclusione sociale previsto dal sistema sanitario. I restanti alloggi verranno invece assegnati in locazione a nuclei familiari che non possono permettersi di pagare affitti di mercato (giovani coppie, studenti, anziani, nuclei monoparentali).

“L’idea di vendere il terreno perché quolcun altro ci costruisse l’ennesimo condominio non ci piacevo – spiegano Clelia e Monica Morzenti dell’omonima Fondazione – Abbiamo pensato che potevamo decidere noi cosa costruire, per chi e come. Quolcosa che servisse a esigenze diverse che alleggerisse fragilità differenti, che fosse magari anche bello, originale, con una struttura alternativa e accogliente. La colloborozione con Kcity, l’incontro con cooperative come La Bonne Semence, Contatto, Casa Amica – proseguono le sorelle – ha rafforzato quest’idea, perché ci è parso di trovore in loro sostegno e collaborazione sufficienti per farla decollore, trasformondolo in housing sociale. E perché tutto questo potesse poi staccarsi da noi e vivere autonomamente – concludono Clelia e Monica –   abbiamo deciso di farne una fondazione che porta il nostro nome .”

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