E’ quanto emerge da una recente pubblicazione, frutto della collaborazione euro-canadese , la quale dimostra che, nonostante l’ampia diffusione delle protesi biologiche nella pratica clinica per la sostituzione valvolare mitralica, l’utilizzo della protesi meccanica risulterebbe superiore dal punto di vista emodinamico e funzionale
Concordano, da oltreoceano, gli studiosi della Stanford University: anche in termini di mortalità la protesi meccanica “è superiore” a quella derivante da tessuti animali
Bergamo, 1 febbraio 2018. Non sempre la scelta ‘bio’ , almeno in medicina, è la più indicata. Il team cardiochirurgico dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo in collaborazione con l’Università di Bristol (UK), il Royal Brompton Hospital (UK), il Quebec Heart and Lung Institute (Canada) e l’ospedale Dupuytren di Limoges (Francia), ha presentato i risultati di uno studio che evidenzia una migliore performance delle protesi meccaniche rispetto a quelle biologiche.
Le valvole meccaniche impiantate nei pazienti osservati nello studio in questione hanno dimostrato essere superiori rispetto alle bioprotesi, sia sotto il profilo emodinamico, cioè del comportamento del sangue nei vasi sanguigni a seguito dell’impianto, sia in termini di capacità funzionale e quindi di qualità della vita dei pazienti stessi.
Da anni, in assenza di linee-guida ben definite, gli specialisti dibattono intensamente sulla scelta migliore, tra protesi meccaniche o biologiche, per i pazienti da sottoporre ad intervento di sostituzione valvolare mitralica.
Le prime offrono il vantaggio della durata, praticamente illimitata, ma necessitano di terapia anticoagulante per evitare fenomeni trombo embolici. Al contrario, le protesi biologiche (costituite cioè da tessuti di origine animale, in genere bovini o suini) sono ben tollerate dall’organismo umano, ma la loro deteriorabilità aumenta il rischio di un secondo intervento chirurgico già dopo 10 o 15 anni. Per anni comunque era convinzione comune, al di là dei vantaggi e degli svantaggi delle due protesi, che le loro performance fossero paragonabili.
Ma ecco che, a mettere in dubbio questa supposizione, arrivano i risultati della ricerca pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica Circulation: Heart Failure. Il lavoro, che porta la firma di Carlo Fino, Maurizio Merlo, Lorenzo Galletti, Diego Cugola per il team cardiochirurgico dell’ospedale bergamasco, e di Attilio Iacovoni, Paolo Ferrero e Michele Senni per quello cardiologico, ha impegnato i medici cardiologi per diversi anni.
I risultati dello studio confermano i dati preliminari presentati al congresso internazionale dell’American Heart Association nel 2014 che, per la prima volta, evidenziarono una differenza di performance tra i due tipi di protesi valvolari. La pubblicazione definitiva, uscirà alla fine di questo mese, e fa seguito al lavoro di attenta verifica dei dati, viste le importanti implicazioni cliniche dello studio in questione.
«La scelta del tipo di protesi valvolare più efficiente per il paziente è da tempo al centro del dibattito tra specialisti – spiega Carlo Fino, cardiochirurgo dell’ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo e primo autore del lavoro – . Le linee-guida esistenti non sono esaustive, lasciando ampio margine di scelta per pazienti di età compresa tra 50 e 69 anni. I risultati pubblicati dal nostro team di ricerca rappresentano un ulteriore passo in avanti. Siamo certi che studi più ampi e randomizzati – prosegue Fino – potranno analizzare meglio importanti parametri che aiutano nella scelta della protesi: emodinamica, qualità di vita del paziente, mortalità. Questo studio rappresenta inoltre un contributo a questo importante argomento – conclude il cardiochirurgo – ed induce a riflettere su una possibile rivalutazione delle linee guida attualmente esistenti».
Lo studio sopra menzionato del team euro-canadese non è infatti l’unico studio di rilievo internazionale che evidenzia una migliore performance delle protesi meccaniche su quelle biologiche. Un recente articolo pubblicato dai ricercatori americani della Standford University sul New England Journal of Medicine (Novembre 2017), una delle riviste scientifiche più prestigiose e di maggiore impatto nella comunità scientifica, evidenzia, nei pazienti sottoposti a sostituzione valvolare mitralica, benefici in termini di mortalità a lungo termine delle protesi meccaniche, quando comparate con le bioprotesi.
La superiorità delle protesi meccaniche si prolungherebbe, secondo il team di ricercatori guidati dal cardiochirurgo Joseph Woo, sino a pazienti di 70 anni di età.
L’insufficienza della valvola mitralica è la patologia valvolare cardiaca di più frequente riscontro nel mondo occidentale, con un’incidenza di 250.000 nuovi casi ogni anno in Europa, ed è al secondo posto nel vecchio continente tra le malattie delle valvole cardiache che necessitano di intervento chirurgico. In particolare per l’insufficienza di tipo ischemico, per il quale il trattamento prevede, in casi selezionati, la riparazione della valvola o la sua sostituzione con una protesi.